Gianluca Benamati | L’Italia è la sfida del futuro
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L’Italia è la sfida del futuro

Bandiere Partito Democratico

Quando Matteo Renzi richiama l’esperienza della Firenze del basso Medioevo, delle sue divisioni ed il superamento di queste col successivo aprirsi ai commerci e agli scambi, che ne fecero una città ricca e potente in cui il Rinascimento fiorì più che altrove, molti sorridono come ad un classico esempio di spirito “toscano”. Come si possa collegare quell’esperienza all’attualità dell’oggi appare a molti difficile se non incomprensibile. Invece proprio ragionando sull’oggi, sulle ragioni del risultato del quattro marzo, sulle azioni di un governo sovranista e populista, nel senso peggiore termine, si possono ricavare alcuni spunti di riflessione da quella esperienza.

Sulle ragioni del quattro di marzo si è detto molto. Sul vento di insicurezza sociale che spazza le società democratiche occidentali nel retro di una globalizzazione dalle molte facce, sui nostri errori di comunicazione, politici e di litigiosità, sugli effetti sociali della crisi ma anche, e non da ultimo, su un sapiente uso dei “social network” per alimentare un clima di insicurezza e paura. In ogni caso una delle migliori esperienze di governo dell’era repubblicana è stata punita a vantaggio di forze come il Movimento Cinque Stelle e la Lega. La domanda chiave è quindi perché le promesse anche più incredibili – un reddito per tutti, andare in pensione presto e bene, meno tasse – sono state accolte e credute in un Paese fiaccato da una crisi pesantissima alla quale ci si è sottratti solo con grande sforzo, sacrifico e impegno?

Credo che le ragioni siano da ricercare principalmente nel messaggio di queste forze, che a fronte di un malessere sociale esistente hanno lasciato immaginare e tratteggiato una realtà attraente ma inesistente. L’immagine di un popolo ricco ma depredato dalla cattiva politica, minacciato da stranieri famelici e violenti, tormentato e sfruttato da grandi multinazionali che approfittano del lavoro italiano. Da qui la soluzione proposta a tutti i problemi diviene combattere quei nemici, chiudersi, alzare muri e barriere. Separare il “noi” dal “loro”, arroccarci e blindare il nostro mondo. Un tema delicatissimo questo delle paure latenti e del disagio nella società, che un giovane sociologo indica come movente del passaggio da “popolo” a “folla” e come momento critico di tenuta della società stessa. Un tema rilevante anche per l’evoluzione della democrazia, come ben vediamo in questi giorni. Ma ciò su cui desidero riflettere qui sono gli aspetti economici e produttivi di questa impostazione. È chiaro, infatti, che questo modello di una società che chiede dazi e guerre commerciali, che è contro il libero commercio e ripiegata su se stessa, chiusa e blandamente autarchica, forse accoglie i bisogni di alcuni ma è molto pericolosa per il futuro dell’Italia e degli italiani.

Noi siamo un Paese che vive di ingegno e lavoro, non siamo dotati né di materie prime né delle risorse economiche ad esse associabili, e abbiamo come principale risorsa noi stessi. La nostra abilità, la capacità e l’intelligenza, il nostro sapere acquisire e trasformare, il creare, il produrre, il commerciare. Qui entra in gioco la memoria storica di Renzi e la sua estrema attualità.

L’Italia è stata grande nei secoli quando ha saputo essere immersa nel mondo, a volte addirittura essere una delle cerniere del mondo. Cosa sono gli splendidi monumenti e opere rinascimentali, o i grandi edifici romani, in cui siamo giornalmente immersi se non la memoria di grandi successi economici e di grandi ricchezze accumulate in questo Paese in quelle epoche? Ma senza andare così lontano nel tempo cosa è il nostro benessere di oggi se non il regalo del lavoro e della visione di ieri? Del lavoro dei nostri padri, che hanno ereditato un paese sostanzialmente agricolo e distrutto dalla guerra, e con la loro fatica e la grande opportunità del mercato comune europeo si sono trasformati nei cinesi d’Europa con quarant’anni di anticipo. Hanno inondato l’Europa e il mondo di auto, di frigoriferi, di elettrodomestici e con ciò hanno creato il benessere dei loro figli e trasformato l’Italia in una grande potenza industriale.

Oggi la sfida è ancora quella di ieri, anche più dura nell’attuale quadro che vende lo spostamento dell’economia della produzione e del lavoro verso l’oriente. La vera questione su cui riflettere, il tema vero che nel dibattito quotidiano condizionato dalle emergenze dell’economia e dello sviluppo noi omettiamo e sui cui sorvoliamo è quale paese noi immaginiamo e costruiamo per il futuro. In poche parole, fra quindici anni vogliamo essere ancora nel novero dei grandi paesi di trasformazione o ci acconciamo a un declino che sarà per forza di cose infelice? Il quesito semplice e diretto è questo. Il governo gialloverde è prigioniero di questa contraddizione. Lo è sia perché non sarà in grado di mantenere le promesse di tutela di tutti gli interessi particolari ma anche e soprattutto perché le due forze politiche che lo sostengono sul tema del futuro divergono profondamente. Le contraddizioni di questi giorni sul dl cosiddetto “dignità”, che ha un’ottica punitiva per le imprese e non tutela il lavoro, sulle grandi opere, fra tutte Tap e Tav la cui mancata realizzazione isolerebbe e impoverirebbe l’Italia, sono un esempio illuminante.

Certo il collante del potere esiste e questo governo può durare, ma in ogni caso la nostra missione di oggi è prepararci e lavorare per costruire l’alternativa. Un impegno che non può, e non deve, ridursi all’attesa della caduta di questo governo e nemmeno alla semplice definizione di alleanze e combinazione politiche o elettorali. Si è chiusa definitivamente una fase politica e qualunque cosa succeda dopo questo governo l’Italia non sarà più la stessa.

Ritengo sia essenziale preparare l’alternativa chiarendo bene il modello di società che abbiamo in mente e ciò che proponiamo agli italiani per il domani. In questo senso la nostra proposta non può che basarsi su quella di un Paese aperto al mondo, che ha nel tema del lavoro e della equità sociale i cardini della sua visione esplicitando così con chiarezza il futuro delle ragioni di una grande forza di sinistra.

L’Italia del futuro, quindi, vista ancora come una grande economia, in cui la manifattura resta centrale, ma che dovrà adeguare la sua impresa ed il lavoro alla sfida dei tempi nuovi (come abbiamo iniziato a fare con Impresa 4.0) e che dovrà rinnovare ampie parti del suo stato sociale.

Investire sugli italiani, sulle loro intelligenze e capacità, sulla mobilità sociale, sul merito e ridare a tutti la fiducia e la voglia di andare verso il futuro debbono essere la nostra sfida e gli elementi della nostra proposta. Sono temi che dovremo affrontare a breve nella nostra conferenza programmatica e nel nostro congresso, sono temi essenziali anche per il Partito democratico.

 

Questo intervento è stato pubblicato su Democratica il 30 luglio 2018

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